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martedì 22 maggio 2012

Quando il dolore ti minaccia.

Dettagli di cronaca, ipotesi, parole di solidarietà, nulla di questo troverete di seguito riguardo a ciò che è successo a Brindisi ed in Emilia, i due eventi sui quali la nostra attenzione si è riversata negli ultimi giorni. Nulla di nuovo, nulla di utile apporterebbe un intervento in tal senso, la copertura mediatica è  ampia da soddisfare la voglia di informazione e la rete consente ogni tipo di partecipazione. Allora penso ad alta voce su tre cose che mi frullano in testa e che, come mattoncini del lego, mi pare aspettino di essere essere unite a formare un sol corpo: le reazioni - viste su Facebook, il mio più immediato strumento di visione della società -, l'effetto del dolore rispetto alla sua distanza ed al volume mediatico, il peso dei piccoli gesti.

Sabato mattina, in piedi un po' più tardi, trovo il pc aperto e predisposto per l'accesso su FB. Accedo, pubblico un post non-sense (non è proprio vero, ma questo è un altro discorso), poi passo alla lettura dei quotidiani e così ho notizia dell'attentato di Brindisi. E la cosa mi tocca, molto. Avevo l'intenzione di giochicchiare un po' in rete, ma dopo aver conosciuto il fatto la voglia mi è immediatamente passata. Troppo forte l'impatto: si è mirato volontariamente ai ragazzi, ai nostri figli. Nel corso della giornata ho osservato e molti sono stati gli interventi di vicinanza, di condanna, di ira, di compassione, molti hanno sentito il peso di quel che era accaduto e non hanno taciuto. Altrettanti hanno continuato a intervenire ordinariamente, ridere, scherzare, condividere canzoni, pubblicare cose più o meno volgari e non hanno taciuto, questo mi ha dato fastidio. Domenica il terremoto in Emilia, stesso copione.
Continuo a riflettere sull'effetto provocatomi dagli eventi e le conclusioni non sono piacevoli. Melissa poteva essere mia figlia, il sisma poteva poteva colpire i miei figli, la tragedia l'ho considerata "vicina" e per questo motivo, proprio come un terremoto, l'onda emozionale è risultata più forte, maggiormente avvertita. Ma io: so che nella mia città ci sono bambini che vivono in baracche fatiscenti lungo il fiume e li vedo ogni giorno elemosinare ai semafori; so che ci sono uomini fuggiti dai loro paesi per sfamare le loro famiglie che vengono quotidianamente umiliati, so che ci sono bambini mandati in guerra a fare i soldati che vengono quotidianamente uccisi e mutilati, so che ogni giorno per malattie e denutrizione ne muoiono più di ventimila, so che questo lo ricordo occasionalmente. E questo cosa vuol dire, forse che esiste una soglia che oltrepassata muove la coscenza? Che questa soglia è soggettiva? Che la soglia più bassa si sente nel giusto rispetto alla più alta? Qual è il confine tra l'indifferenza, l'egoismo, l'istinto di conservazione, qual è la proporzione tra queste componenti? Quanto incide l'essere più o meno lontano dagli avvenimenti,  averne conoscenza profonda o superficiale? Non mi lesino interrogativi, ma le risposte autoreferenziali non mi soddisfano. Poi il passo inevitabile: ma cosa posso fare, ecco, cosa posso e/o voglio fare. E' la sensazione di impotenza o la consapevolezza dell'istinto egoista che causa  il mio malessere?
In definitiva, da un lato trovo positivo questo viaggio nel dubbio, dall'altro sento di avere la coscienza sporca, di sicuro il contributo potrebbe essere maggiore rispetto a qualche parola gettata sul web. Però ora questo posso/voglio e l'idea che ogni pietra ha un'utilità nella costruzione di una casa può e deve essere il motore. I piccoli gesti, le piccole iniziative intanto muovono e poi ci si incontra, ci si aggrega, si somma.
Per questo a chi ha avuto la curiosità e la pazienza di arrivare fin qui chiedo il confronto.

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